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Antonio Calabrò: Scienze della Vita per un’Economia Civile

“La tradizione non è custodia delle ceneri ma culto del fuoco”. La frase di Gustav Mahler, anche fuori dal contesto delle straordinarie trasformazioni musicali dei primi del Novecento, vale come guida per coloro che in politica, nelle imprese e nelle attività culturali vogliono valorizzare le radici del patrimonio e la vivace creatività italiana. Ed è una delle lezioni più chiare per Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli e vicepresidente di Assolombarda, membro dei board di una serie di società e fondazioni culturali, giornalista (è stato direttore editoriale de “IlSole24Ore”, ha lavorato a “la Repubblica”, “Il Mondo” e “L’Ora”) e scrittore (tra i suoi ultimi libri, “La morale del tornio” e “Orgoglio industriale”), docente all’Università Bocconi e alla Cattolica di Milano. “Fare impresa significa fare cultura”, ama dire Calabrò, costruendo iniziative che esaltano la “cultura politecnica”, tra umanesimo e scienza, che caratterizza la migliore economia italiana.

D. Chi è un innovatore per te? Perché?

R. L’innovatore è un eretico. Che in controtendenza con il flusso di culture e abitudini prevalenti, apre strade inconsuete. La storia imprenditoriale anche in Italia ne offre chiari esempi. Giovanni Agnelli che concepisce l’auto come un prodotto di massa, al contrario dei suoi azionisti che la vedevano come aristocratico giocattolo. I Pirelli che avviano, primi in Italia, la lavorazione della gomma e poi continuano a distinguersi per innovazione, relazioni industriali aperte e dialoganti e cultura internazionale, sino alle scelte positive contemporanee. Enrico Mattei, che con l’Eni insiste sull’autonomia energetica italiana, cardine dello sviluppo industriale. Adriano Olivetti, leader d’impresa hi tech attenta alla cultura, alla bellezza, allo spirito di “comunità” delle persone. E tanti altri piccoli e medi imprenditori coraggiosi, spiriti liberi e intraprendenti. Convinti che l’impresa sia un valore economico fondato su forti valori sociali.

D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?

R. Quella legata alle “life sciences” per migliorare radicalmente la qualità della vita, ma anche l’abitabilità delle città e le condizioni di benessere sui posti di lavoro, lungo orizzonti di “economia civile” e di sostenibilità ambientale e sociale.

D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?

R. Un visionario capace di concretezza. Di ascolto. E di indirizzo. Tutt’altro che “un uomo solo al comando”. Ma un decisore coraggioso, che costruisce consenso e poi sa assumersi la responsabilità delle decisioni. Una persona colta (senza cultura non si fanno crescere buone imprese). E con una certa dose di ironia e auto-ironia. Diffiderei degli arroganti egocentrici.

D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?

R. Un uomo è i maestri che ha avuto, i libri che ha letto, le donne che ha amato, gli amici che ha scelto. Ho memoria grata di un paio di professori, uno alle medie (la forza della storia, la responsabilità delle scelte) e un altro al liceo (la bellezza della letteratura, da Leopardi a Pavese e Calvino, l’intelligenza curiosa della critica, il ruolo essenziale della cultura in politica). E di un maestro di giornalismo e di vita, Vittorio Nisticò, storico direttore de “L’Ora” di Palermo: l’informazione come severità, scrupolo, strumento di dialogo, responsabilità civile. Valori forti ancora oggi.

D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?

R. Mi preoccupa la crisi delle parole coscienti nel discorso pubblico, nella confusione delle fake news e delle urla, le ferite alla razionalità della democrazia liberale, anima stessa d’un buon mercato per l’economia. La speranza: la forza di nuove generazioni che, ricche di culture aperte e identità molteplici e internazionali, sappiano dare nuova linfa alla politica, alle imprese, alle relazioni sociali. Confido nei miei figli, nella loro generazione curiosa e viaggiatrice.

D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.

R. Un libro su “Il Canto della fabbrica”, il concerto dell’Orchestra da Camera Italiana diretta da Salvatore Accardo, una composizione ispirata dai ritmi hi tech, digitali, del Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese ed eseguita per la prima volta, nel settembre 2017, proprio lì, in fabbrica, davanti a mille persone: il libro sarà pubblicato da Mondadori ai primi di maggio e conterrà, insieme ai DvD del concerto, immagini di famosi fotografi e scritti di Accardo, Renzo Piano, Marco Tronchetti Provera, Domenico Siniscalco e altre “grandi firme” della cultura e dell’impresa. Per i progetti, il 2018 è la scadenza dei dieci anni dalla nascita della Fondazione Pirelli: organizzeremo feste, dibattiti, ricostruzioni della cultura d’impresa e della comunicazione del gruppo. E c’è Assolombarda: una grande organizzazione da continuare a fare crescere, sotto la presidenza di Carlo Bonomi, sui temi dell’innovazione, della competitività di Milano “smart city”, della legalità.

D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare.

R. Mi emozionano gli sguardi carichi di storia e consapevolezza degli anziani e quelli inquieti e curiosi dei ragazzi, che incontro a lezione e per altre occasioni di lavoro: vogliono sapere e capire, meritano attenzione e rispetto. Mi fanno arrabbiare la volgarità e la stupidità di chi semplifica troppo e pensa di sapere tutto: la stupidità arrogante, purtroppo molto diffusa.

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