Non aver paura della grandezza: alcuni nascono grandi, alcuni la conquistano e alcuni la ricevono dall’alto. (Shakespeare, La dodicesima notte). Realismo e pragmatismo animano l’azione di Marco lo Conte, al Sole 24 Ore dal 1999, dove ricopre l’incarico di social media editor. Insegna Giornalismo Radiofonico presso l’Università del Sacro Cuore di Milano ed è direttore scientifico del Master in Previdenza del Sole 24 Ore.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Secondo me oggi è innovatore non colui il quale ingenera un cambiamento o si inventa una nuova applicazione, ma chi induce gli altri a innovare. È una categoria diversa di persone ma forse ancor più fondamentale, perché crea le condizioni per la realizzazione dell’innovazione. Ricordate gli anni 90? L’innovazione tecnologica è esplosa grazie soprattutto al calo degli investimenti militari seguiti alla caduta del muro di Berlino, che si sono in buona parte riversati sulla Silicon Valley. La vera innovazione è stata trovare forme come private equity e venture capital che hanno finanziato i nuovi progetti come mai nessuno aveva fatto fino ad allora. Oggi c’è un bisogno disperato di trovare modi nuovi di creare occupazione, mettere in contatto la finanza con l’economia, spingere la crescita dove non c’è. È qui che bisogna intervenire, ingegnerizzando processi innovativi in strutture sociali complesse.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. La stessa che ha consentito a centinaia di milioni di persone di uscire dalla miseria nell’ultimo secolo: l’istruzione. Sapere le cose e saperle assemblare nel modo giusto farà sempre più la differenza. La conoscenza del mondo circostante è fondamentale per la sopravvivenza della specie. Non è garanzia di ascensore sociale, forse, ma conditio sine qua non per la competitività del singolo nel sistema. Non significa conoscere tre lingue straniere invece di due o avere una laurea dal nome altisonante. Oggi significa secondo me perseguire una visione tridimensionale del mondo che ci circonda, mentre tutto concorre ad appiattirlo e a banalizzarlo in una o due dimensioni. Prendete i social media: tutto è schiacciato e banalizzato sul binomio piace/non piace; da quando ho preso l’incarico di social media editor del Sole 24 Ore ho riscoperto l’importanza di aver letto da ragazzo Il giocatore o Il fu Mattia Pascal, per saper come e quando moderare i commenti più incattiviti. Non è prescindibile una cultura ampia in grado di comprendere le dinamiche della propria contemporaneità, nel passato così come oggi. La tecnica di gestione del digitale rischia di aggiungere poco o nulla alla bidimensionalità della rete, se non accompagnata dallo spessore culturale di chi si occupa attivamente di implementare per esempio l’informazione sui social.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Preparazione, chiarezza, determinazione, tenacia, sono qualità sempre più diffuse ma per nulla scontate. Ciò che risulterà sempre più un valore aggiunto per i leader del futuro è la capacità di coltivare una visione del futuro e la disponibilità a ripensarla periodicamente. Poi ci sono le doti personali: saper ascoltare, innanzitutto, ma credo sia fondamentale sapere essere un passo avanti e un passo indietro ai propri collaboratori, per esserne di esempio nei loro confronti ma allo stesso tempo stimolando il protagonismo e la spinta dei singoli a migliorarsi. È difficile talvolta, ma credo che sia l’approccio di gran lunga più efficace nel medio e lungo termine. Imprimere un reale cambiamento e ottenere obiettivi ambiziosi ha bisogno di tempo ed errori. Da Guglielmo Marconi a Steve Jobs gli esempi non mancano. Oggi invece si confonde la voglia di imprimere un segno con la incapacità di adattarsi al contesto sociale, con troppi leader che diventano tali perché sono sostanzialmente caratteriali e disadattati, incapaci di misurarsi all’interno di un contesto. Lasciano disastri le leadership di personalità trasbordanti che lavorano con obiettivi non superiori a due o tre anni: troppo facile ribaltare il tavolo e lamentarsi di lacci e lacciuoli. Un leader vero, come un vero cuoco, crea capolavori anche con poco. Ma il problema maggiore che mina la leadership nelle aziende italiane in particolare è l’assimilazione da modalità gestionali estranee dal mondo imprenditoriale: si ragiona per bande, o stai con me o contro di me. Il che instilla in azienda cultura del sospetto e dinamiche anti meritocratiche che distruggono le strutture. Lavorare in una struttura che ragiona per squadra, vivendo di fiducia e monitorando i risultati collettivi nel tempo, è molto più facile e produttivo.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Tante. Professionalmente i miei genitori mi hanno instillato quella dedizione al lavoro che ho ritrovato – non a caso – in alcuni dei miei maestri di giornalismo: Edgardo Pellegrini, Demetrio Volcic, Elia Zamboni. Personalmente ho sempre cercato di evitare imprinting troppo forti, pensando a costruire un mio percorso professionale coerente. Per questo sono stato attento ad imparare anche da persone lontane da me e dal mio modo di pensare, considerando cioè anche gli angoli della visuale, oltre che il centro. Anche il collega più detestabile ha qualità apprezzabili che possono risultare utili.
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. Paure e speranze si concentrano sui figli: le loro prospettive, il loro futuro. Spero di dar loro gli strumenti migliori per potersi districare in un mondo che non li aspetta a braccia aperte. Sono piccoli, 16 e 10 anni, e c’è molto da fare ancora per entrambi. Faccio di tutto per seguirli il più possibile da vicino nonostante gli impegni professionali.
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Attualmente sono molto assorbito dalla gestione del sito web del Sole 24 Ore e dal lavoro sui social media. A breve darò impulso a un nuovo progetto sul tema del risparmio che seguo ormai da vent’anni: è un progetto che mette insieme finanza comportamentale ed educazione finanziaria, un libro e una piattaforma social, articoli sul giornale e video. Insomma, un progetto innovativo. Poi c’è l’attività parallela, quella musicale: da anni mi esibisco per beneficenza con i miei amici dei Ciappter Ileven, suonando canzoni umoristiche sul mondo dell’economia. Abbiamo già diverse date per il 2017.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Mi fanno arrabbiare la stupidità e la pigrizia, anche se sono molti i vizi della modernità insopportabili oggi. Le emozioni più intense e profonde sono quelle personali, che proteggo con cura, e che mi danno le motivazioni per i grandi progetti così come per la vita quotidiana. Perché i lunghi viaggi sono fatti di piccoli passi.
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