“Il riformista è ben consapevole di essere costantemente deriso da chi prospetta future palingenesi, soprattutto per il fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti e si riassumono, generalmente, in una formula che non si sa bene cosa voglia dire, ma che ha il pregio di un magico effetto di richiamo”. Questa frase di Federico Caffè, di cui è stato allievo quando, appena neo laureato, ha frequentato l’Istituto Luigi Sturzo, è tornata spesso alla mente ad Antonio Catricalà, nei lunghi anni trascorsi a servizio delle istituzioni del Paese. Consigliere di Stato, presidente dell’Antitrust, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Viceministro al Ministero dello Sviluppo Economico, Catricalà oggi svolge la professione forense: “Un omaggio tardivo a mio padre, che mi ha insegnato il valore del mestiere di avvocato, anche quando non era sinonimo di ricchezza”.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Innovatore è chi nelle analisi quotidiane e nelle scelte che ne conseguono riesce a fare ‘tabula rasa’ degli schemi dominanti e a ragionare ripartendo sempre da zero. Solo così si può riuscire ad avere uno sguardo lungo sul futuro.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
Non ho la sfera di cristallo e le innovazioni hanno una velocità d’impatto imprevedibile. Basti pensare a internet e a come ha cambiato nel giro di neanche tre decenni le nostre vite e il concetto stesso di democrazia. Sono però convinto che le innovazioni nel settore energetico e in quello agroalimentare saranno quelle più dirompenti perché in grado di modificare l’assetto geopolitico mondiale e di dare una risposta alla distribuzione di ricchezza nel mondo.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Riuscire a valorizzare le singole individualità coinvolgendole in un progetto che deve essere vissuto come ‘comune’ e non ‘etero imposto’.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Ho avuto la fortuna di lavorare con dei ‘campioni’ delle istituzioni che mi hanno insegnato ad amare lo Stato e a considerare un onore lavorare per la collettività. Penso ad Antonio Maccanico che quando a 72 anni lasciò il Consiglio di Stato, mi disse: “Mi sento un servitore dello Stato, lascio il ruolo, mantengo l’habitus”. Penso a Gianni Letta: un uomo infaticabile, sempre pronto ad ascoltare per potere adottare la scelta più giusta. Senza il suo esempio sul lavoro, senza i suoi consigli, non sarei mai riuscito ad affrontare le sfide professionali della mia vita.
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. La mia più grande paura è l’esplosione della sfiducia nei confronti delle istituzioni, vissute come ‘altro da sé’: purtroppo il processo è ormai iniziato ma bisogna correre ai ripari. La mia più grande speranza è l’altra faccia della medaglia: una ricomposizione della frattura che vede separati, in un crescendo di rancore e aggressività reciproca, i cittadini e le istituzioni stesse. Per questo serve che la politica, ma anche la classe dirigente tutta, pubblica e privata, ascoltino le esigenze del Paese e trovino le risposte giuste, senza intraprendere scorciatoie populiste. Il populismo non ha mai risolto i problemi, piuttosto li ha acuiti.
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Oggi faccio l’avvocato e insegno diritto: ogni cliente è un progetto diverso, ogni studente una potenzialità a sé. E, per il domani, continuo a immaginarmi dietro alla scrivania a studiare strategie, possibilmente vincenti, per i miei clienti. E a studiare l’evolversi della giurisprudenza per tenermi aggiornato.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Mi emoziona il mare, le sue sfumature, le onde improvvise, la repentinità con cui cambia nel corso di pochi minuti. La cosa che mi fa più arrabbiare è la sciatteria: che sia sul lavoro o nella gestione dei rapporti tra persone non la sopporto. Perché è una mancanza di rispetto nei confronti dell’altro.
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