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I contenuti di qualità sono tornati al centro di ogni strategia di Reputation. Ne parlo intervistato da Soft Power
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Il Ceo Activism. Una mia dichiarazione su Il Sole 24 ore

Il Sole 24 ore ha realizzato un interessante approfondimento sul Ceo Activism in cui trovate anche una mia dichiarazione.

Lo potete scaricare da questo link o leggere di seguito: http://www.ow1.rassegnestampa.it/Ferpi/PDF/2019/2019-05-25/2019052542241911.pdf

Come scrive il giornalista Andrea Biondi “il ruolo del CEO negli ultimi anni si è molto trasformato e oggi è percepito sempre più come il referente e il garante dei valori aziendali.” Proprio per questo sta assumendo una nuova centralità nelle strategie di comunicazione e stakeholder engagement delle aziende. Di conseguenza diventa sempre più importante il suo posizionamento e la sua reputazione.

In questa prospettiva, il tema del “Ceo Branding” è una straordinaria opportunità per consolidare la reputazione delle aziende.

Un dato interessante citato nell’articolo è di uno studio Reputation Institute presentato a New York in settimana secondo cui coloro che sanno chi è il ceo di un’azienda, giudicano quella stessa azienda in maniera migliore, riconoscendole una reputazione molto più forte (+10,3 punti).

Ed in quest’ottica, quel che vedo grazie all’interessante osservatorio di The Ghost Team, il network globale di ghostwriter a disposizione di manager, imprenditori, politici, diplomatici, militari che ho fondato qualche anno fa, è che i contenuti di qualità sono tornati al centro di ogni strategia di reputation o attività di stakeholder engagement.

Non si può improvvisare o essere superficiali.

Le organizzazioni, gli imprenditori e anche i leader delle aziende se ne stanno rendendo conto e vi sono esempi concreti di prese di posizione che fino a qualche anno fa c’erano solo in figure istituzionali.

Viviamo nell’era dei leader disintermediati in cui chiunque si può connettere con chi vuole ma lo può fare solo con i contenuti giusti.

Ecco l’articolo:

Attivismo dei ceo, la leva delle grandi tematiche sociali
di Andrea Biondi

La ricerca è del 2018 e arriva da Weber Shandwick in collaborazione con Krc Research. Risultato: il ceo activism, l’attivismo dei capi azienda a esprimersi sui grandi temi, negli Usa influenza positivamente le decisioni di acquisto. Quasi la metà dei consumatori (46%) si dice più propensa ad acquistare da un’azienda guidata da un ad che entra nelle discussioni di rilievo. Solo per il 10% il risultato è opposto. Eloquente anche il trend: il tasso positivo è aumentato significativamente dal 2017 (46% contro 38%).
La tendenza del ceo a prendere posizione su importanti questioni di natura sociale sta prendendo piede. Negli Usa da Donald Trump in giù gli esempi non mancano. Per stare all’attualità: il ceo di Starbucks Howard Schultz a inizio anno ha annunciato di voler correre per la Casa Bianca. Paul Polman, ex ceo di Unilever, si è speso molto sul tema del climate change. Tim Cook di Apple sul tema della difesa di genere. Il ruolo del ceo negli ultimi anni si è molto trasformato e oggi è percepito sempre più come il referente e il garante dei valori aziendali. Proprio per questo sta assumendo una nuova centralità nelle strategie di comunicazione delle aziende. Di conseguenza diventa sempre più importante il suo posizionamento e la sua reputazione.
In questa prospettiva, il tema del “ceo branding” è una straordinaria opportunità per consolidare la reputazione delle aziende. Ma è una potenzialità che fa fatica ad esprimersi perché oggi, stando ai dati di Reputation Institute, solo il 13% delle persone conosce chi è il ceo dell’azienda.

Allo stesso tempo, però, coloro che sanno chi è il ceo di un’azienda, giudicano quella stessa azienda in maniera migliore, riconoscendole una reputazione molto più forte (+10,3 punti). Ancora si tratta di una potenzialità che fa fatica ad esprimersi perché oggi solo il 13% delle persone conosce chi è il ceo dell’azienda. Tuttavia, se opportunamente comunicato, il ceo oggi è un moltiplicatore della reputazione di un’azienda. «Diventa fondamentale – spiega Alessandro Detto, Reputation Institute Senior Vice President Italy & Switzerland – come acceleratore-moltiplicatore di reputazione, soprattutto in uno scenario dove “metterci la faccia” può fare la differenza non solo per conquistare la fiducia di consumatori e stakeholder ma, soprattutto, per avere impatti positivi sul business».

L’uomo che comanda non può però in questo sforzo limitarsi a essere “solo” al comando. «I contenuti di qualità sono tornati al centro di ogni strategia di reputation o attività di stakeholder engagement. Non si può improvvisare o essere superficiali», dice Roberto Race, advisor per la corporate advocacy di aziende e organizzazioni e tra i promotori di “The Ghost Team”, il network globale di ghostwriter a disposizione di manager, imprenditori, politici, diplomatici, militari. «Le organizzazioni, gli imprenditori e anche i leader delle aziende – aggiunge – se ne stanno rendendo conto e vi sono esempi concreti di prese di posizione che fino a qualche anno fa vedevamo solo in figure istituzionali». A fare eco a Race è Gabriele Ghini ad di Transearch e autore del libro “Diario di un cacciatore di teste”: «Da un ruolo ripiegato all’interno dell’azienda, attento a numeri, strategie, organizzazione e profitti si è passati, almeno per i top manager più evoluti, a una costante ricerca di un’immagine pubblica che enfatizzi anche la responsabilità sociale dell’impresa e un ruolo allargato del manager. La costante e incrementale perdita di credibilità della classe politica, poi, ha reso ancora più evidente questo passaggio e la sua importanza».
Ma tutto questo sta cambiando anche i criteri per la ricerca e scelta dei manager? «In Italia – dice Maurizia Villa, managing director di Korn/Ferry, leader nell’executive search – la situazione è differente rispetto agli Usa. Per l’Italia parlerei di un lavoro che i Ceo stanno facendo a favore di una sensibilizzazione che porta a definire sistemi valoriali dell’azienda».

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