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Marco Alberti: l’innovatore crea, non aspetta che altri gli cambino il mondo

Il segreto del cambiamento è concentrare tutta la tua energia non nel combattere il vecchio, ma nel costruire il nuovo.” (Socrate)

Laureato con lode in giurisprudenza presso l’Università di Bologna, dopo un’esperienza di lavoro in azienda entra in diplomazia nel 2000, ricoprendo incarichi presso il Ministero degli Esteri, l’Ambasciata a Buenos Aires e il Consolato a New York. Attualmente distaccato presso Enel come responsabile affari istituzionali internazionali, è un appassionato seguace della leadership trasformativa e dell’innovation-driven diplomacy. Sposato con tre figli, collabora con diverse Università sui temi della business diplomacy, è sherpa Enel all’interno del G20-B20 ( un mondo che ho l’onore di seguire da qualche anno e che vede impegnati business leader, manager e diplomatici di altissima qualità come Alberti), membro dei board dell’AMCHAM e del Centro Studi Americani, nonché delegato dell’azienda presso ISPI. Crede molto nelle parole di Duchamp, “occorre creare quel che si cerca”, e presto scriverà un libro.

Chi è un innovatore per te? Perché?
Bernard Show lo ha descritto bene: alcuni vedono cose che esistono e ne spiegano il perché, altri immaginano cose che non esistono e si chiedono “perché no?”. Questi ultimi innovano perché sono curiosi, trasgressivi e insoddisfatti. Io cerco di vivere pensando che non si realizzerà mai nessun cambiamento aspettando che arrivi da altri o in un altro tempo. Per usare una frase nota, “Noi siamo quelli che stavamo aspettando”.

Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
Quella applicata alla salute dell’uomo è la più attesa, e cambierà il mondo, come già in passato. Ma bisogna avere un mondo da cambiare, per cui l’energia pulita è l’altra grande area di innovazione necessaria. Per questo, sono felice di lavorare in Enel, leader nelle rinnovabili e laboratorio di innovazione e sostenibilità.

Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
Il modello del “command-and-control” è finito. La leadership moderna è trasformativa e non conservativa, diffusa e non verticale. Pro-azione vs. reazione, collaborazione aperta, responsabilità condivisa, sviluppo dell’intelligenza collettiva ed “empowerment” dei collaboratori sono le qualità più apprezzate di un leader.

Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
Una che non ho mai conosciuto, il piccolo Marco, un bimbo congolese morto di fame in braccio a mia madre. I miei vivevano in Zaire per il sevizio civile, pochi giorni dopo nacqui io e mi diedero il nome di quel bambino, che ogni giorno mi ricorda l’importanza di essere grati per tutto ciò che abbiamo.

La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
A volte temo di perdere lo stupore e l’entusiasmo dei bambini, mentre la mia speranza è conservarli, perché – come diceva Le Guin – “un adulto creativo è un bambino sopravvissuto”.

Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
Sto lavorando nel privato per assorbire capacità manageriale da trasferire un domani nel pubblico e contribuire a rendere il nostro ecosistema nazionale sempre più competitivo. Vorrei creare un nuovo modello organizzativo per il trasferimento reciproco di conoscenza e di valore. Una sorta di “next practise” che chiamerò “Open diplomacy”. Sembra paradossale, ma anche la diplomazia, un tempo fatta di solo segreto, oggi si arricchisce e crea valore nella misura in cui si apre all’interazione collaborativa con altri mondi.

 La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
I miei figli, quando mi che chiedono il perché della vita e delle cose che imparano.
Detesto l’ingratitudine, mi pare la peggior disonestà dell’essere umano. Per questo sono grato di aver incontrato mia moglie, che mi aiuta e mi sopporta.

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