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Stefano Negri: spero nei bambini, disegnano un mondo senza barriere

Stefano Negri è cresciuto nella periferia di Milano, figlio di maestri elementari immigrati dal Mantovano e dal Veronese a caccia di opportunità nel dopoguerra.

A 13 anni, la sua visione del mondo è cambiata grazie ad un programma di scambio organizzato dal suo Comune, Cinisello Balsamo, con coetanei di Praga, Barcellona e Salonicco. Da lì è nata la sua curiosità verso altre culture, l’amore per i viaggi e la sua convinzione che “Ogni minuto passano treni che possono trasformare la vita, sta ad ognuno di noi correre e prenderli al volo ”.

Stefano si è prima inventato pony express e artista di strada con un gruppo di amici per pagarsi biglietti inter-rail e conoscere l’Europa; poi ha aperto uno scambio academico tra il Politecnico di Milano e la National University of Ireland, con il progetto Erasmus; ha rinunciato ad un “lavoro sicuro” in una multinazionale Italiana per unirsi ad una piccola ONG sulla costa della Colombia, tra coccodrilli e guerrilla; ha frequentato INSEAD, un Master in Gestione Aziendale a Singapore; ha lavorato per un decennio in consulenza con McKinsey & Company in tre continenti, inclusi 3 anni in Cina a studiare l’evoluzione urbana e le implicazioni per lo sviluppo, l’ambiente e il commercio.
Adesso, a 42 anni, dopo aver viaggiato in oltre 60 paesi, lavora in organismi internazionali. Per gli ultimi 6 anni ha lavorato come Manager e Leader Tecnico della Banca Mondiale nel settore di competitività urbana ed industriale; e dal 2015 è stato nominato Direttore del World SME Forum, un organismo creato dal G20 e B20 a supporto delle piccole e medie imprese. Vive a Washington DC con sua moglie e i suoi 3 bambini – una nata a Roma, gli altri due in Cina.

D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Innovatori sono persone che non si accontentano, che provano sempre a migliorare, che sfidano lo status quo. Sono rompiscatole per eccellenza, nel miglior senso del termine!
Vivendo negli USA, la persona che per prima mi viene in mente è Elon Musk. Ha uno zampino in tutte le compagnie più innovative degli ultimi anni e sta rivoluzionando il settore energetico e non solo: SolarCity, per i pannelli solari (li ho a casa mia! Non spendo una lira di energia elettrica dal 2012…); Tesla, la macchina elettrica più di successo che sia mai stata prodotta; e Space X, un gruppo incredibile di ragazzi che stanno pianificando la colonizzazione di Marte (!!).
Ma non è necessario essere un “inventore”, o essere straricco. Innovatrici da urlo sono per esempio due nostre connazionali, aggiunte di recente alla mia lista di idoli personali: Elena Favilli e Francesca Cavallo. Hanno creato un fantastico libro che si chiama “Good night stories for rebel girls”, che è diventato una hit su Kickstarter negli USA. Le mie bambine lo adorano, gli insegna a crescere con fiducia in se stesse combattendo svantaggi e discriminazioni.

D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Lo sviluppo technologico è talmente rapido che è impossibile immaginare cosa verrà inventato tra 15 anni. Spero che ci siano sempre più invenzioni nel campo dell’energia, dei trasporti e dell’acqua che ci consentiranno di vivere meglio in un ambiente che sfortunatamente è sempre più sfruttato. Idee e prototipi esistono già, servono politiche e coraggio per metterle in campo, con mente aperta. Allo stesso tempo, bisogna fare attenzione che le tecnologie diano benefici a tutti. Proprio adesso al G20 e al B20 stiamo discutendo l’Intelligenza Artificiale ed altre nuove tecnologie, per le quali è fondamentale mettere in piedi politiche e salvaguardie appropriate, altrimenti finiamo in scenari futuristici come “The Matrix”.

D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Un leader ispira il suo team e prende dei rischi, ma soprattutto ammette quando ha torto, riconosce i suoi colleghi quando hanno successo, genera energia e passione. Sono tutte caratteristiche che si applicano a qualsiasi livello organizzativo, non è necessario essere l’Amministratore Delegato per essere un leader.

D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Tante. Amici, colleghi, parenti. Compagni di viaggio. Ma i miei genitori sopra tutti. Sono dove sono grazie a loro, ai loro sacrifici per permettere a mia sorella ed a me di studiare ed avere la vita e le opportunità che volevamo. Mi hanno insegnato il rispetto per le persone, la perseveranza e l’impegno nel lavoro, il senso civico e il desiderio di servire “la cosa pubblica”, pur credendo nella meritocrazia. E a non prendersi troppo sul serio. Spero di riuscire a fare lo stesso per i miei bambini.

D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. L’ondata recente di protezionismo è quella che mi spaventa ed intristisce di più. E’ basata su paure indotte, razzismo, chiusura mentale, e una diseguaglianza troppo elevata. La mia speranza più grande, un po’ naive forse, è che i nostri figli saranno migliori di noi: ogni volta che chiedo a dei bambini qui a Washington quello che bisogna fare, dipingono un mondo migliore, meno estremo e arrivista, più sociale e rispettoso della natura. Indipendentemente da razza, o ceto sociale. Sta a noi non rovinarglielo prima del tempo.

D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Dopo due anni passati a lanciare il World SME Forum, il mese prossimo rientro nel team del nuovo CEO della Banca Mondiale. E non penso che avrò un attimo per respirare, visto tutto ciò che sta accadendo a livello internazionale.

D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Mi emoziono quando vedo i miei bambini che corrono e scherzano in un parco giochi con amici che hanno discendenza Cinese, Etiope, Afro-Americana, Statunitense, Messicana, Nordica, Indiana, Iraniana, Cambogiana… E’ magico vedere come non ci siano barriere.
Quello che mi fa più arrabbiare sono i bulli, in tutte le forme e le età. Che siano bambini che sfottono i più timidi e le bambine, oppure i furboni che non fanno la coda all’uscita della tangenziale; i colleghi che se ne approfittano alle tue spalle; oppure nazioni intere che attaccano altre a livello economico o militare. Senza di loro si starebbe meglio.

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